RINO SCALZO CI PORTA A PESCARE LE ORATE A BOLENTINO
Sono le sei del mattino di un fine settimana di fine febbraio ed il Canale di Sicilia non sembra accogliermi bene. Nella luce ancora accennata dell’alba, infatti, un gelido vento di grecale soffia ad imbiancare le acque ed a disilludere, crudele, i sogni e le speranze di importanti catture.
Parimenti nuvole basse e scure incorniciano l’orizzonte quasi a dipingere un quadro sempre più scoraggiante dissentendo, al momento, con gli statistici e soprattutto rassicuranti algoritmi del servizio meteo.
Alla faccia di tutto ciò la prua della barca non sembra, comunque, curarsene proseguendo, indifferente, tra piccoli spruzzi e lo sciacquio delle onde. Per fortuna non c’è molta strada da fare, il plotter di bordo segnala ancora cinque miglia di una navigazione tutto sommato poco ballerina e più che accettabile.
Passano i minuti e sullo schermo si fa via via più vicino il marker di uno spot speciale, uno di quei posti che frequento poche volte l’anno ma il cui pensiero è letteralmente in grado di togliermi il sonno.
Localmente conosciuta come “lo spaccato”, considero questa secca quasi un forziere, uno scrigno dei più impenetrabili all’interno del quale un angler esperto, una volta trovata la chiave, può riempirsi le mani d’oro.
Proprio così, non ho citato né diamanti né altri preziosi, ma il più puro e ricercato “metallo” del mare, quello che la natura ha stampato sulla fronte di uno dei suoi più ambiti ed emblematici abitanti.
Roccia o…..misto
Benché conosca a memoria ogni più nascosta costola di questa articolata posta, raggiunti i margini esterni del banco, rallento ed inizio l’abituale scouting con l’eco. Tecnologia Chirp, immagini 3D, rete Navnet insieme ad un trasduttore a cono ampio da un kwh e soprattutto ad un occhio oramai allenato mi fanno leggere anche le squame dei pesci. Finito il primo passaggio a spirale, sul grande monitor del plotter cominciano a ricostruirsi le immagini di quello che accade sul fondo.
Sul sommo della secca, localizzato intorno ai -29 mt, insiste al momento un nutrito banco di pelagici, probabilmente grossi sugherelli, intenti a ricercare febbrilmente il cibo. Un centinaio di metri verso fuori proprio tra il misto si notano, invece, alcune strane marcature la cui natura riesco più o meno ad identificare.
Potrebbero essere saraghi maggiori o meglio ancora faraoni adulti, rari e ricercatissimi, che negli anni ho imparato a trovare tra gli anfratti di questo spot o magari si tratta delle dorate avversarie che cerco. A fronte di segnali promettenti ed inequivocabili, getto il ferro a -35 metri in modo che, assecondando vento e corrente, la barca si porti con la poppa prospiciente ad un piccolo pianoro misto fangoso.
In primis
Volendo agire sul fondo, invece di preparare le canne, inizio immediatamente a sganciare un paio di bombe di brumeggio per il richiamo dei pesci in zona. Ci provo mettendo in pratica una metodica di pasturazione appositamente pensata per offrire alle mie prede target due diverse tipologie di nutrimento ed intercettarne più facilmente le rotte.
Corrente permettendo, in realtà, creerò ad una trentina di metri dalla verticale dell’imbarcazione una attirante area di pascolo fatta di fragranti mitili ed oleosi tocchetti di sardina entrambi proposti in egual misura. Allo scopo, niente di meglio che il mio fido pasturatore a sgancio bene infarcito di cozze grossolanamente frantumate, qualche mollusco intero insieme ai predetti pezzi di sardina sommariamente tagliati.
In tal senso l’idea non è solo quella di diversificare il richiamo organolettico ma di offrire ai flussi della corrente dei più leggeri e fluttuanti frammenti di guscio e pezzetti di polpa di cozza così da allargare il raggio di azione e l’area di intercettazione dei pesci. Ad azione di pesca iniziata, chiaramente rimpolperò con uno sgancio ogni mezz’ora.
Alle canne
A fronte di un mare piuttosto “corposo” per fortuna la corrente non è forte consentendomi di toccare stabilmente terra con una settantina di grammi e sopratutto con un angolo di lenza rassicurante e ben all’interno dell’area pasturata. L’assetto in pesca deciso è quello standard per questo genere di metodica.
Trattandosi di una sostanziale pesca d’attesa utilizzerò, infatti, quattro canne così differenziate. A lavorare sui portacanne orizzontali di poppa saranno due Shimano Vengeance Boat Drifting nelle versioni H ed XH di 4 mt. sulle quali monterò una lunga lenza a bracciolo singolo con treccia antitangle e piombo scorrevole.
Ai lati e soprattutto sopracorrente pescheranno invece due nuove Shimano Speed Master Boat da 5 mt armate con “normali” lenze a due attacchi provviste di amo pescatore. Sui fusti appena citati come al solito due coppie di Aero Technium 10000 e Super Ultegra 10000 colmi fino all’orlo di immancabile Technium Invisitec dello 0,30 in omaggio alla mia filosofia che reclude l’utilizzo del dyneema oltre i 60 metri.
Lenze e finali
Da buon garista, la cassetta delle lenze sempre in ordine trabocca di madri e terminali per la cui scelta mi oriento nel modo seguente. Per le canne poste a poppa, come anticipato, meglio montare su entrambe un solo bracciolo lungo 180 cm realizzato con del fluorocarbon dello 0,30 e dello 0,33 terminante con un paio di appuntiti 2 serie MR 700 della Colmic.
Per le canne più lunghe le lenze saranno, invece, le classiche usate per gli sparidi con due braccioli intercambiabili lunghi 100 cm della stessa tipologia dei precedenti quanto ai diametri ed ami variabili dal 1 al 2 . Per quanto riguarda le zavorre invece, lascio andare sul fondo 75 grammi sulle canne di poppa “piantando” chiaramente un po’ di più gli attrezzi sopracorrente con circa un centinaio di grammi di zavorra.
La triade d’oro
Filo elastico ed ago da innesco auto costruito per innescare le cozze sono già pronti dentro la vaschetta dell’Igloo ad attendere di essere riempiti con succosa polpa del mitile. In questo caso, sgusciate tre o quattro cozze impiego la polpa ricavata per costruire un irresistibile salsicciotto cui i faraoni e soprattutto le regine del mare non sapranno resistere.
Se la minutaglia insisterà, sempre con la cozza realizzerò in alternativa un innesco “Frankenstein” inserendo dentro una cozza intera l’amo innescato con tocchetto di sarda e chiudendo il tutto con il solo filo elastico. Allo stesso tempo prenderanno al via del blu un paio di sardine senza testa innescate a cucire con la punta dell’amo che finisce all’esterno.
In ultimo faranno compagnia ai bocconi predetti i tentacoli di un grosso totano, spellati per bene, rinforzati con un po’ di buzzo ed innescati a mo di anellide. Quindi niente esche segrete, niente bibi, paguro, oloturia o altri inneschi, l’esperienza e qualche bel pesce portato a guadino mi hanno da tempo assicurato che questa triade funziona per bene.
In pesca
Sono passati quasi venti minuti da quando l’ancora mi ha assicurato al fondo, da una scorsa veloce delle cose da fare direi che logisticamente sono pronto, adesso si va in scena.
Attacco l’area pasturata come previsto, due lenze lunghe a lavorarvi dentro e due un po’ più corte proprio ai margini del pascolo. Attenzione ed allarme sul plotter in modo da scongiurare di restare definitivamente fuori pesca al minimo accenno di sbandieramento. Tutto è finalmente in acqua ed adesso comincia il vero lavoro.
Contrariamente a quanto fatto da altri, per me la pesca di attesa non è letterale, non esiste che una volta calate le canne io stia li ha guardarle, di sicuro l’inedia non aiuterebbe l’azione di pesca. Orologio alla mano, in assenza di tocche visibili, inizio la rotazione di controllo delle esche partendo dalla canna di prua sopracorrente.
Non più di 15 minuti e tutti i bocconi, anche se in perfetto stato, vanno in pastura a favore di inneschi sempre freschi e dalla fragranza non dilavata da milioni di litri d’acqua. Chiaramente è un lavoraccio soprattutto se un banco di piccoli pelagici o di minutaglia disturbatrice decide di venirci a trovare ma, come ben so, è una fatica che ripaga spesso.
Toc ..toc
L’esperienza mi farebbe riconoscere la tocca di un’orata fra mille e mille prede. I suoi assaggi, soprattutto se di grossa taglia sono leggeri, delicati ed a volte quasi impercettibili in special modo se falsati da un po’ di mare e dal beccheggio della barca. Una volta individuata la mangiata, fosse il milionesimo pesce che prendo, mi sento sempre il cuore in gola per questo momento decisivo che farà la differenza tra una preda in canna ed un amo pulito.
L’orata non è un pesce che parte, non fa esplodere le frizioni con fughe poderose ed inarrestabili, agisce con più cura ed attenzione esprimendo semmai la propria testarda potenza nell’eventuale successivo combattimento. Alla luce di ciò, sfilata la canna, con la mano a bloccare la bobina sempre lenta del mulinello, non eseguo nessuna clamorosa ferrata, nessun movimento convulso, nessuna fibrillante isteria, il pesce potrebbe avere l’esca a fior di labbra e non deve assolutamente sentirmi.
Semplicemente attendo che un impercettibile appesantimento sulla punta della canna mi segnali che il momento della verità è arrivato, l’amo è al posto giusto e solo allora alzo la vetta sicuro nella risposta dall’altro capo di lenza. Il combattimento successivo, soprattutto se si tratta di un’orata adulta ed esperta, è un’apoteosi sportiva, una vera tenzone alieutica dove un inutile tira e molla si risolverebbe a favore del pesce. I minuti trascorrono lenti, la tensione è palpabile ed il silenzio rotto solo dal lamento metallico della frizione che impedisce a questo meraviglioso abitante del blu di guadagnare la libertà.
Canna, nylon e soprattutto sensibilità di braccio sono comunque inesorabili e il pesce una volta staccato dal fondo si difende con testate e fughe sempre meno convinte e decise. Pochi metri alla superficie e la macchia argentea si trasforma via via nella desiderata sagoma della regina del mare, è un pesce magnifico strappato al suo habitat dalla naturale ricerca del cibo. Prima che le maglie del guadino gli si chiudano attorno lo guardo ancora una volta nuotare nell’incantevole blu del suo ambiente provando quelle emozioni che anche le più persuasive ed esaustive parole non potranno mai e poi mai spiegare.