….lanciando quell’esile filo….

“….Se dentro vi cresce un’ansia commossa che non potete frenare se non lanciando su quella corrente l’esile filo attraverso il quale scende nell’acqua ogni vostro pensiero e con l’acqua del fiume se ne va lontano…”

Sono solo due righe queste scritte da Mario Albertarelli; parole semplici, ma piene di quel morbido sentimento che raccoglie tutta l’essenza della nostra passione: dal bisogno ancestrale di vivere quelle intense emozioni che soltanto la pesca riesce a suscitare, al piacere di lasciarsi avvolgere dalla quiete interiore che ne deriva. Un turbine di sensazioni forti, capaci di scorrere attraverso “quell’esile filo” lanciato nella corrente, senza nemmeno sfiorarlo.

Un umile filo di lenza che occupa solo uno spazio minimo nei tanti pensieri di ogni pescatore poiché, come spesso accade, sono proprio le cose più importanti quelle alle quali pensiamo per ultime e questo semplicemente perché sono fattori essenziali, presenti a prescindere. Eppure tutti noi abbiamo ben chiaro quanto siano importanti le caratteristiche e la qualità il nostro filo, così come siamo perfettamente consapevoli che è proprio lui l’elemento basilare dal quale dipende ogni esito. Ma siamo sicuri di conoscerlo davvero bene in tutte le sue diverse sfaccettature?

Io per primo nutro seri dubbi su questo, tanto che mi sono voluto addentare un po’ più nello specifico, cercando di analizzare gli aspetti tecnici e pratici dei fili da pesca, che siano essi di nylon, in fluorocarbon o braided, applicati in particolare alla tecnica del feeder fishing.

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Un breve accenno storico

Stando agli scritti che trattano argomenti legati alla pesca con la canna, le prime lenze utilizzate risalgono al 15° secolo, quando i nostri antenati “cannisti” le costruivano intrecciando delle sottili fibre vegetali irrobustite con oli e resine. Solo dopo molti anni queste vennero sostituite dai crini delle code di cavallo maschio (quelli di femmina erano più deboli a causa dell’urina che li bagnava).

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Poi, negli anni compresi fra il 1935 e il 1938, i ricercatori della DuPont, misero a punto una nuova fibra sintetica resistentissima che chiamarono “Nylon 6”; forse la più importante scoperta industriale del ventesimo secolo, giunta pressoché inalterata fino ai giorni nostri, nonostante i suoi venerabili 80 anni.

Dopo il nylon fu la volta del fluorocarbon: anch’esso un polimero sintetico, arricchito con alte percentuali di cristalli di carbonio, inventato in Giappone per costruire reti da pesca invisibili al pesce e quindi utile anche per altri scopi alieutici.

Ultimo arrivato sui banchi dei negozi di articoli da pesca è il braided: un filamento ottenuto per mezzo dell’intreccio di microfibre in polietilene ad alta densità, talmente forte da essere usato nei giubbotti anti proiettile.

Ma veniamo al sodo

Nella pesca con il feeder le proprietà della canna e la necessità di percepire gli accenni del pesce solo per mezzo della lenza, fanno di quest’ultima un elemento d’assoluta importanza, con caratteristiche proprie che variano sensibilmente in base al singolo impiego, partendo da lenze molto morbide e flessibili, per poi passare a quelle più rigide e con poco allungamento meccanico, fino ad arrivare ai braided, molto apprezzati per la loro particolare resistenza e per la totale assenza di elasticità.

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In ogni caso, indipendentemente dai diversi requisiti, non bisogna mai dimenticare che ogni lenza in uso nella pesca a feeder è innanzitutto una vera e propria “trasmittente”, capace di tradurre ogni minimo segnale in un messaggio da decodificare.

A tale proposito, è bene appropriarsi in fretta del concetto del filo come elemento di “trasmissione” poiché, come questo trasferisce i messaggi dal pesce al vettino, con altrettanta fedeltà lo stesso fenomeno avviene in direzione inversa e cioè con il pesce (tra l’altro molto più sensibile di noi) che grazie ai suoi recettori percepisce, amplificato dalla risonanza dei liquidi, ogni vibrazione trasmessa per mezzo del filo in tensione.

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Teniamo bene in mente questo aspetto, perché tramite “quell’esile filo” si ricevono emozioni, ma per lo stesso identico principio, si possono creare onde sonore talvolta molto controproducenti.

Un preambolo importante questo, da non sottovalutare assolutamente. Ma vediamo ora a quali caratteristiche deve rispondere la lenza che di volta in volta avvolgeremo sui nostri mulinelli, ormai consapevoli che un solo tipo di filo, per quanto eccellente sia, non potrà mai essere stesso per ogni circostanza.

Incominciamo quindi con la pesca a breve distanza, compresa per definizione entro i 30 metri, prendendo come esempio eloquente il campo di gara del Tevere a Umbertide; un luogo molto noto nel mondo dell’agonismo.

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Nel caso specifico parliamo di un campo piuttosto stretto, caratterizzato da una corrente di media velocità, popolato da una favolosa varietà di pesci che va dal cavedano di due etti a quello di due chili, con una discreta presenza di carassi sui 500 gr., molte carpe e altrettanti barbi europei over size.

In circostanze del genere il pescatore deve essere pronto per ogni evenienza e siccome nella pesca a feeder il diametro della madre lenza non influisce sulla presentazione dell’esca, uno 0,25 mm. di ottima qualità e piuttosto elastico è quello che ci vuole per avere la meglio su dei cavedani da pescare con terminali (relativamente) sottili e allo stesso tempo riuscire a tener botta in quei momenti topici, quando ci troveremo a gestire la potenza esplosiva di un barbo o di una carpa da tenere nello spazio ridotto del nostro picchetto, lontano dalla sponda opposta e anche da quella sotto i nostri piedi.

In casi del genere la madre lenza non può che essere un buon nylon, con tutte le sue normali doti di elasticità e resistenza, poiché nelle brevi distanze come quelle scelte sul Tevere di Umbertide non serve avere un filo con basso quoziente di allungamento e questo sia perché gli accenni del pesce non verranno dispersi dalla sua elasticità, sia perché la ferrata arriverà ugualmente bene; così come in certi casi non ha senso avere un filo affondante, del tutto inutile in un raggio d’azione così ridotto.

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Ed è proprio riguardo la pesca in ambienti ristretti che dobbiamo fare un’ultima, importante riflessione sull’elasticità del nylon, aspetto quasi mai valutato nella sua vera essenza.

All’atto pratico, un buon nylon con caratteristiche standard ha un allungamento medio pari al suo 20% e questo significa che a trenta metri di distanza, prima di rompersi il nostro filo si può estendere fino a 6 metri. Un fattore questo da considerare bene prima di pescare troppo a ridosso di ostacoli la dove una grossa carpa o un barbo, con la potenza della fuga iniziale, possono facilmente approfittare di certe tolleranze plastiche per raggiungere un rifugio, senza che niente lo si possa impedire.

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Nella pesca a media distanza invece e cioè in quella compresa fra 40 e 60 mt., le cose incominciano a complicarsi un po’ e per questo dovremo prestare maggiore attenzione a quei particolari divenuti più importanti, come il diametro del filo, la sua elasticità e il peso specifico che ne determina il potere affondante.

In certe condizioni è fondamentale avere in bobina una lenza più sottile possibile, sia per tagliare meglio la tensione superficiale dell’acqua che per agevolare l’azione di lancio, da compiere sempre con la massima scioltezza, cercando di evitare sforzi superflui, buoni solo per compromettere la precisione.

Tuttavia capacità di lancio e precisione, seppur molto importanti, sono solamente due aspetti di un’insieme ben calibrato che deve essere agire in perfetta sintonia con l’intera azione di pesca.

Tanto per essere più chiari, 60 mt. di filo che galleggia nelle acque dense di un canale è un handicap invalidante ai fini del risultato di una gara, così com’è deleterio avere fuori altrettanto filo troppo elastico il quale, oltre a limitarci la percezione delle mangiate, ci costringe a ferrare sbracciando per oltre 180 gradi, con il concreto rischio di arrivare “dopo la musica” e quindi, ciò che serve in questi casi è un filo molto rigido e poco propenso all’allungamento.

Altro fattore molto importante nella pesca a distanza, è la giusta valutazione del diametro della lenza anche in rapporto alla velocità dell’acqua la quale, seppur apparentemente insignificante, esercita comunque una spinta notevole sul filo, influendo negativamente sulla sensibilità del vettino e di conseguenza sui messaggi che questo deve trasmettere.

Quando invece la pesca si svolge alle massime distanze o comunque oltre i 60 mt., il braided (o trecciato), almeno secondo il mio punto di vista ha davvero una marcia in più, per non dire che è pressoché indispensabile.

Per come si può facilmente intuire, io sono un convinto sostenitore del braided e non solo per la pesca a distanza tuttavia, visti i tanti pareri talvolta discordanti espressi da molte “penne” illustri, nonostante le mie preferenze, si rende doverosa una breve disamina su pregi e difetti del nostro filato, partendo dalla sua più nota carenza e cioè dalla totale assenza di elasticità per effetto della quale tutte le forze andrebbero a scaricarsi direttamente sul finale e sul punto d’ancoraggio dell’amo, con la concreta possibilità che uno dei due ceda.

Se questo è il primo vero problema, altrettanto vero è che si tratta di un problema facilmente risolvibile, aggiungendo al trecciato 10 o 15 mt. di uno shock leader in nylon, ovviamente di un diametro adeguato ai carichi di rottura del braided, che svolga il compito di ammortizzatore per compensare l’assenza di elasticità del braided.

Il secondo difetto del multi-fibre è costituito dalla sua scarsa resistenza al nodo, ma anche questa è una grana alla quale si può ovviare con dei nodi all’uopo concepiti e se vogliamo congiungere il braided al nylon, il più resistente e sottile in assoluto è senz’altro quello chiamato “Albright”,

Nodo Albright

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dopo viene il Tony Pena (si legge Tony Pegna) …

Nodo Toni Pena

1° passo 2° passo 3° passo 4° passo

e poi ancora ce n’è uno di velocissima realizzazione che ho imparato a fare molti anni fa e non so nemmeno se abbia un nome, ma che cercherò illustrare nel corredo fotografico, insieme agli altri due.

Il nodo senza nome

Primo passo Quarto passo Secondo passo Terzo passo Ultimo passo

A questo punto, dopo aver esposto i maggiori difetti del trecciato, vediamo ora quali sono i suoi pregi nell’uso applicato alla pesca con il feeder.

Il più importante di questi è senz’altro dato, guarda caso, proprio da quello che abbiamo prima indicato come il suo peggior difetto e cioè dalla struttura anelastica, grazie alla quale si dispone di una fedeltà assoluta nella percezione del minimo segnale e questo è un grande vantaggio nella pesca a lunga distanza, così come lo è quando abbiamo a che vedere con pesci difficili come i gardons e le grandi breme, capaci di mangiare facendo appena tremare il vettino.

A tutto ciò, sempre grazie alla medesima caratteristica, va aggiunta la possibilità di ferrare in tempo reale il pesce, nello stesso esatto momento dell’accenno, anche a molte decine di metri di distanza. In pratica, se la punta della canna si muove di un centimetro, lo stesso centimetro lo si registra nello stesso istante anche a 90 metri di distanza….e scusate se è poco.

Ultimo, ma non per importanza, pregio del braided è il diametro estremamente sottile in relazione al suo carico di rottura, che permette lanci molto più agevoli, grazie anche al suo profilo a treccia, in grado di esercitare sugli anelli della canna un attrito minore rispetto alla superficie uniforme di un qualsiasi mono filo.

Riguardo al fluorocarbon invece possiamo dire che il suo utilizzo è perlopiù limitato alla sola costruzione dei finali, anche se non mancano le occasioni in cui la resistenza all’abrasione di questo polimero, molto superiore a nylon o braided, ci può essere di grande aiuto anche come madre lenza, soprattutto nei casi in cui sappiamo di pescare su fondali problematici, come per esempio quello del Mincio, dove il letto del fiume è caratterizzato da vasti banchi di alghe, perennemente ricoperte da un sottile strato di pulviscolo sabbioso, terribilmente lesivo per le nostre lenze.

Vediamo ora qualcosa riguardo i finali, iniziando con la prima domanda d’obbligo: “è da preferire la morbidezza di un terminale in nylon o l’invisibilità di un fluorocarbon?”

FILO METHOD FEEDER

PESCA A DISTANZA: IL BRAIDED

SHOCK LEADER: ECCO LO SPRAY LEADER

I TERMINALI DI LENZA

I FLUORCARBON

Anche in questo caso niente è dato per assoluto poiché in acque molto ricche di ostacoli sommersi contro i quali può strusciare il filo, con un buon fluorocarbon si hanno maggiori garanzie di tenuta e inoltre, essendo questo polimero totalmente impermeabile all’acqua, anche dopo molto tempo di immersione, non perde alcuna delle sue caratteristiche meccaniche, mentre il nylon, più soggetto all’assorbimento dei liquidi, tende a cedere parte delle sue peculiarità.

Un altro punto in favore del fluorocarbon lo si trova quando abbiamo a che fare con pesci dotati di piccoli denti, come i clarius dell’Arno pisano, dove un qualsiasi finale in nylon, già dopo qualche cattura, vede molto compromessa la sua tenuta.

Di contro invece, quando c’è da fare a braccio di ferro con pesci di mole notevole, oppure dobbiamo insidiare il cavedano più smaliziato con finali sottili, quello che ci serve è indubbiamente il miglior nylon, in grado di garantire la massima resistenza, che sarà comunque superiore a qualsiasi fluorocarbon di pari diametro. Inoltre con il filo di nylon abbiamo il grande vantaggio di poter disporre di una maggiore elasticità, sempre utile in certi casi, e soprattutto possiamo contare su di una morbidezza ineguagliabile che permette una presentazione dell’esca quanto più naturale possibile ed è per questo che riguardo ai finali, almeno a livello personale, la dove possibile, preferisco quasi sempre affidarmi a un buon nylon……..De gustibus….

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