Bolognese dalla scogliera: Alla ricerca del sarago con la canna bolognese

Il periodo invernale è spesso considerato da molti pescatori come il meno adatto alla pesca in generale: freddo, vento e pioggia riescono infatti a scoraggiare anche i più fervidi appassionati.

Inoltre i pesci risultano molto più “svogliati” del solito, meno attivi (passatemi il termine) a causa della temperatura dell’acqua più fredda e spesso tante specie si allontanano dal sottoriva.

Ma per chi proprio la malattia della pesca non riesce a togliersela di dosso, cosa andare a prendere? Che tecnica di pesca praticare?

Beh, sicuramente un pesce che popola gran parte delle coste della nostra penisola e che durante l’inverno non abbandona quasi mai le basse e fredde acque del sottoriva è il sarago.

La sessione di oggi è proprio dedicata alla ricerca del sarago, con la tecnica della bolognese, dalla scogliera.

L’occorrente?

Innanzitutto … una scogliera, per l’appunto: una diga foranea, un moletto esterno di un porto, un masso particolare, un promontorio … insomma un punto roccioso rialzato che ci permetta di pescare sopraelevati rispetto al livello del mare, per evitare di bagnare noi e tutta l’attrezzatura alla prima onda un po’ più formata.

Oggigiorno non è difficile venire a conoscenza, per esmpio da altri amici, negozianti di fiducia o addirittura internet e forum di pesca, dei molti tra i più frequentati e famosi “spot” costieri adatti per la tecnica bolognese.

Le condizioni giuste: la scaduta sicuramente è la condizione di mare ideale da scegliere. Con il termine “scaduta” si intende un mare abbastanza mosso che si va pian piano calmando, magari dopo una forte mareggiata di libeccio.

Le acque devono rimane comunque torbe, ricche di sospensioni (alghe, legnetti, microrganismi, particelle del fondale …) e con onde formate, battenti nel sottoriva.

L’attrezzatura da scegliere per questa pesca è poca, ma di fondamentale importanza.

Una canna bolognese di circa 6 metri risulta ideale per effettuare una buona azione di pesca dagli scogli: essa deve essere, insieme al mulinello, innanzitutto leggera e ben bilanciata, per non affaticarci troppo durante la sessione di pesca, ma anche rigida, con azione di punta, per permetterci di forzare e, di tanto in tanto, salpare anche pesci di considerevoli dimensioni, quando magari le condizioni di mare formato o la ristrettezza dello scoglio e dell’ambiente di pesca in generale in cui ci troviamo, non ci permettono l’impiego del guadino.

Fondamentale è la sacca dei bigattini, da tenere a tracolla, che ci faciliterà enormemente l’azione di pasturazione, non avendo possibilità di tenere bacinelle, vaschette o secchielli a portata di mano, per questioni di spazio ristretto e suolo irregolare.

Non da poco è il ruolo rivestito dal fluorocarbon con cui costruiamo il nostro finale e dell’amo che andiamo a legare alla sua estremità: il primo in questione dovrà avere eccellenti qualità di invisibilità, resistenza all’abrasione, viste le zone piene di insidie taglienti dove lo andiamo ad impiegare, e tenacità sul nodo.

Il secondo elemento che abbiamo citato, l’amo, dovrà anch’esso essere un fedele alleato del pescatore, resistente e molto affilato, che non ci tradisca mai anche in caso si trovi a che fare con i possenti apparati boccali dei saraghi più grossi, ma al tempo stesso dovrà essere leggero, per permettere una presentazione dell’esca agli occhi del pinnuto morbida e il più naturale possibile.

Galleggiante, un paio di forbici, un secchiello per mettere eventuali pesci di taglia che vogliamo portarci a casa e il gioco è fatto. La qualità dei materiali che scegliamo, unita alla loro versatilità e semplicità ci farà sicuramente divertire in caso di pesci di taglia importante, permettendoci, impiegando attrezzatura leggera, al limite della rottura, di portare nel guadino anche i pesci più grossi.

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