ROUBAISIENNE IN LAGHETTO INVERNALE

I colori dell’inverno hanno un fascino particolare ed invogliano ad un’uscita a pesca nonostante suoi rigori consiglino di restare a casa, magari a fianco al camino. Tuttavia, quando il sole fa capolino fra le nuvole e si riesce a non morire assiderati, la pesca invernale suscita in me notevole interesse e risveglia piacevoli ricordi, per cui non mi faccio mai pregare più di tanto quando un amico mi invita per una pescata in compagnia. Chiaramente, bisognerà optare per le ore più calde della giornata, evitando le alzatacce estive che non farebbero altro che farci intirizzire dal freddo. Meglio attendere che il sole scaldi un po’ l’aria e, soprattutto, l’acqua del laghetto dove andremo a pescare, piuttosto che restare a patire le rigide temperature invernali.

Pocanzi parlavo di laghetto, quale itinerario da scegliere per la nostra sessione di pesca invernale e non potrebbe essere diversamente, perché scegliere una diga, magari con l’acqua in crescita per le cospicue piogge, nella maggior parte dei casi significherà portare a casa il tanto temuto cappotto, che acuirà maggiormente il freddo. I laghetti di pesca sportiva, come sanno tutti, sono delle ottime palestre invernali e consentono di poter trascorrere una bella giornata di pesca con l’indiscutibile vantaggio di poter prendere un caffè o un tè caldo a fine pescata e scaldare un po’ lo stomaco.

La pesca invernale ha un indubbio fascino determinato dalla difficoltà dell’azione di pesca e caratterizzata dall’uso di finali sottili ed ami, a volte, microscopici per cercare di vincere la diffidenza dei carassi che, solitamente, costituiscono l’obiettivo principale della nostra pescata, ma anche di qualche bella carpa ancora in attività.

E’ una pesca che presenta una serie di sfaccettature interessanti e che vale la pena di analizzare dal punto di vista tecnico.

Le lenze da utilizzare.

Le lenze per la pesca invernale vanno divise in base alla profondità dell’acqua del nostro itinerario di pesca. Personalmente non ritengo utile andare oltre uno 0,75 per laghetti con profondità inferiore o pari ai 2 metri, mentre per fondali superiori ci si potrà anche spingere ad un galleggiante da un grammo o un grammo e mezzo. Quanto alla geometria, le discussioni sono infinite e divise sostanzialmente in due categorie: quelle che propendono per lenze più aperte, ma con un numero maggiore di pallini e quelle con il bulk più ravvicinato all’asola, ed un minor numero di pallini. La prima prevede un bulk a circa 50 cm di distanza dall’asola cui si collega il terminale ed una spallinata a decrescere costituita da 6/8 pallini di uguale misura e correlate alla grammatura del galleggiante. Questa geometria consente di avere una lenza piuttosto “dritta”, perché i pallini tendono a tenere fermo il filo e, quindi, consentire un’immediata lettura della mangiata. La seconda, invece, è decisamente più semplice ed è costituita da un bulk a 30 cm dall’asola e 3 pallini equidistanti fra loro nel classico tema a “bottoni di camicia”. E’ la lenza classica per la pesca del carassio, sia invernale che estiva e che in inverno, probabilmente, consente di far conseguire i risultati migliori. Il bulk basso consente di tenere la lenza ben stabile ed i 3 pallini sono sufficienti per donare la morbidezza necessaria e leggere bene le mangiate. La regola base della pesca invernale in laghetto è la semplicità che, in questo schema di lenza, trova la sua massima espressione. Personalmente preferisco la seconda, più semplice e più performante ma, come spesso accade, la verità sta nel mezzo, nel senso che entrambe possono essere valide nella giusta occasione e, pertanto, andranno alternate alla ricerca di quella giusta. Quanto ai piombini che formeranno la lenza, non salirei oltre il n. 10 per lenze fino allo 0,75, mentre arriverei fino al n. 8 per lenze di 2 grammi. Il comune denominatore, comunque, sarà la taratura estrema del galleggiante, fino ad arrivare alla taratura a bolla, determinata, cioè dalla fuoriuscita minima, anche di solo un paio di mm, dell’antenna dall’acqua. Fin quando il lago è in calma piatta, si riuscirà a scorgere l’antenna con relativa facilità, quando, invece, si alzerà una leggera brezza o si pescherà fuori punta, cominceranno a sorgere problemi. Ecco, quindi, che bisognerà ricorrere a qualche escamotage per evitare di ferrare sempre a vuoto. Il primo è quello di immergere la nostra antenna nell’apposito grasso, ma quel poco che basta per tenere su l’antenna; un altro consiste nel mettere un piccolo anellino di silicone, del medesimo tipo usato per fermare il filo sul galleggiante, ovviamente di diametro sufficiente e poi colorarlo con la vernice ad asciugatura rapida; il terzo, ma anche quello meno redditizio, consiste nel togliere un pallino del 13 dalla piombatura, in modo che l’astina si alzi quel tanto che basta per renderla un po’ più visibile. Ovviamente, ognuno troverà quello più si adatta alle proprie esigenze.

Lenza fuori punta.

Non credo di fare una rivelazione di importanza mondiale dicendo che i carassi tendono a stare un po’ fuori dalla zona pasturata. E’ cosa risaputa. D’inverno questo fenomeno può accentuarsi maggiormente, specialmente dopo le prime catture. I carassi, già poco propensi ad abboccare alle nostre esche, al primo segnale di pericolo si allontaneranno, per cui dovremo andarli a cercare fuori punta. La lenza, in questo caso sarà simile a quella descritta sopra, nella variante più aperta e, chiaramente, con una bandiera molto più lunga. Utilizzando un galleggiante di 2 grammi, che io preferisco del tipo a carota allungata, in quanto in grado di seguire maggiormente la discesa del piombo e, quindi, non indietreggiare, adopereremo piombini anche al numero 8, per evitare lenze con un numero eccessivo di piombini. La difficoltà consisterà nel riuscire a vedere il galleggiante, necessariamente tarato a bolla e piuttosto distante e, soprattutto, nel manovrarlo nella maniera giusta per indurre i carassi ad abboccare. Qui non c’è spiegazione che tenga, occorrono le cosiddette “ore di volo” e tanta esperienza! Per sondare il fondo, utilizzo già da qualche anno, su consiglio dell’amico Giancarlo Armiraglio, notissimo agonista, un bulbo in EVA, prodotto dalla sua altrettanto nota azienda produttrice di articoli da pesca che, una volta applicato al galleggiante, mi consente di stendere al meglio la lenza e vedere con esattezza la profondità dell’acqua. Applicata una sonda di almeno 20 grammi e spingendo in avanti la roubasienne, si riuscirà ad avere una visione completa del fondale, cosa che non succederebbe con il solo galleggiante. Provatelo e non ne rimarrete delusi!

Il terminale.

Nella pesca invernale, con pesci apatici e piuttosto statici sul fondo, non occorreranno terminali eccessivamente lunghi, anzi! Un finale di 30 cm non ci consentirà di percepire le mangiate poco decise dei carassi che, spesso, prenderanno in bocca il bigattino per poi risputarlo senza che ce ne accorgiamo. Di contro, un terminale più corto ci consentirà di controllare meglio la nostra esca e percepire con maggiore rapidità quanto sta accadendo nei pressi del nostro amo. La misura ideale, sempre a mio parere, è di 20 cm, fino ad un massimo di 25 cm. Quanto al diametro, non è detto che si debba pescare per forza con terminali ultrasottili che, sicuramente dovranno essere pronti nella nostra scatola all’occorrenza, ma è sempre meglio iniziare con un terminale un po’ più grosso, anche per stare più tranquilli in caso in cui una carpa venga a farci visita. Per terminale “un po’ più grosso” intendo uno 0,10, non di certo un 14! Diciamo che l’ideale è uno 0,09 fino a scendere ad uno 0,08 o, in casi estremi, uno 0,07. Quanto agli ami, vale lo stesso discorso dei fili. Partenza con un 18, per poi arrivare fino ad un 22 o 24, in base al modello scelto. Ottimi quelli senza ardiglione, che consentono una penetrazione ottimale senza timore di perdere il bigattino che, nelle acque fredde, si muoverà ben poco.

Azione di pesca e pasturazione.

Durante il periodo inverale la pesca non sarà mai frenetica e le mangiate non saranno tantissime. Questo, tuttavia, non vuol dire che una volta calata in acqua la nostra lenza bisognerà semplicemente attendere che qualche pesce si degnerà di assaggiare l’esca. Tutt’altro! La differenza tra un ottimo pescatore ed uno meno bravo sta sicuramente nel modo in cui il primo dona vita e vitalità all’esca con semplici movimenti della punta della roubasienne. Occorre, quindi, riuscire a far muovere l’esca in modo da convincere il pesce ad aggredirla, a prescindere dal fatto che abbia più o meno fame. Bisogna scatenare il suo istinto predatorio, per cui piccoli saltelli, sollevamenti dal fondo o lievi trascinamenti possono servire ad indurre il carassio ad abboccare. Anche qui, come detto prima, non servono spiegazioni, ma ci vogliono le famose ore di volo. Altro aspetto di rilevanza fondamentale, è la pasturazione. Sia che si faccia con i bigattini, sia che si usi il pellet, la regola è sempre la stessa: pasturare un metro prima della punta per poi stendere leggermente in fuori il galleggiante e, pian piano, farlo avvicinare alla zona pasturata. A volte funziona anche il discorso inverso, quindi tanto vale provare, precisando che bisognerà cercare di esplorare quanto più possibile il picchetto assegnatoci perché non è detto che i pesci siano per forza oltre il nostro galleggiante in linea retta. Giusto, quindi, provare anche a destra o a sinistra alla ricerca dei pesci. Ecco, quindi, che il fascino della pesca invernale viene fuori in tutta la sua bellezza e difficoltà, dimostrandosi tutt’altro che una pesca statica. Quanto al pellet, la maggior parte dei gestori dei laghetti di pesca sportiva condiziona l’uso del pellet esclusivamente a quello fornito dal gestore medesimo, quindi in questo caso non avremo altra scelta se non farcene dare un sacchetto. Anche in questo caso vale la regola di prima: pasturare sempre prima, tenendo presente che troppo pellet può avere come effetto quello di attirare qualche bella carpa sotto punta, quindi meglio non esagerare, se l’obiettivo è quello della quantità più della qualità. Infine, l’appoggio: se d’estate si può arrivare ad appoggiare l’intero terminale, d’inverno potremo pescare anche leggermente staccati, per poter vedere meglio le abboccate. Diciamo che conviene partire a filo fondo per poi giostrare per 3 o 4 cm in più o in meno. Anche in questo caso, la regola è sempre la stessa, per cui citando la famosa gag del film “Non ci resta che piangere”, dell’indimenticabile Troisi, l’imperativo sarà “provare, provare, provare”.

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