STORIA DELLE SOLUZIONI TECNICHE NELLA PESCA a CANNA

Se come abbiamo visto, una bella mano per comprendere come si comporta fisicamente l’acqua dei fiumi, ci era già arrivata nel primo rinascimento dal Sig. Cardano, gli aggiustamenti tecnici per pescarci dentro con la canna si sono susseguiti nei secoli, fino ad approdare a quello che ci raccontiamo oggi, magari senza conoscerne le origini, spesso convinti che siano soluzioni moderne.

Lungi da me la presunzione di aver ritrovato “ il bandolo della matassa” di così lunga evoluzione per così tante cose; ne ho solo colte alcune interessanti e ve le voglio far conoscere.
– Dopo aver sfogliato i primi 4 manuali italiani della Pesca con la canna:
1843 ( Milano – Anonimo)
1851 ( Torino – Paolo Domenino)
1862 ( Lago di Como – Cetti Ing. Giovanni )
1900 ( Milano – Anonimo)
Che oltre a copiarsi fra loro, si rifanno molto ai lavori medioevali e rinascimentali:
De CRESCENZO Bologna (1304- 1309)
AFRICO CLEMENTE Padova (1600)
EUGENIO RAIMONDI Brescia (1621)
etc.
Ed a traduzioni di opere straniere ( Fino dal 1749 ) Tedesche Francesi Spagnole e Inglesi in primis.
– Arriviamo al 1905 quando appare un manuale della pesca in Italia ,“moderno”, un lavoro ben più corposo degli scritti precedenti ad opera del Luigi Manetti,(Milano) edito dall’editore Ulrico Hoepli, (Mi) manuale che ebbe una bella riuscita, tanto che nel 1922 si dovette farne la ristampa perchè la richiesta aveva superato la disponibilità della prima edizione, dando il là anche alla concorrenza, ad esempio Il Libro del Pescatore di Aldo Sarnieri anche quello edito a Milano nel 1922.
Ma è in questo libriccino 15×10 del Luigi Manetti, e nelle sue 303 pagine, che si ritrovano alcune delle prime soluzioni o principi delle medesime che da allora sono giunte a noi, ed hanno influenzato scelte importanti.

L’INNESCO
Forse depistati dagli scritti di Albertarelli degli anni 60-70 ( ma per chi li ha letti anche da quelli Medioevali) abbiamo sempre pensato che nel primo uso della larva di mosca carnaria i pescatori abbiano sempre privilegiato calzare questa larva completamente sull’amo per nascondere la presenza dell’uncino ( in quelle epoche non piccolissimo) alla vista dei pesci; in realtà, come ho scritto in un precedente articolo, una volta appurato che il bigattino era comunemente già usato nella prima metà del 1800, sia come esca che come veicolo di pasturazione, era logico aspettarsi che anche l’innesco “ moderno” della larva appena appuntata e scodinzolante non si sia potuto fare attendere fino alla nostra epoca contemporanea.
Ecco che il Manetti nel 1905 ce lo mette per scritto:
“per escare un’amo con un verme di carne si usano due metodi”:
1)- “Il primo consiste nell’affondare la punta dell’amo, che di solito va dal n 12 al n 16 nella parte più grossa della larva e farla scivolare nell’interno del corpo sino quasi all’estremità più piccola del verme”.
2)- “Il secondo mezzo è quello di attraversare , sempre vicino alla parte grossa, la pelle dura della larva lasciando uscire liberamente l’ardiglione”!
3) – “Entrambi i metodi sono validi finchè la larva si muove, nel momento che presenta un’inerzia va sostituita”
Nel suo manuale il Manetti ci riporta anche il disegno dello stato di crisalide, senza entrare in merito ad un suo uso sia come pastura che come innesco, ma intanto il disegno è presente per la prima volta in un testo di pesca con canna.

GEOMETRIA DEI PIOMBI IN LENZA
Come vi scrivevo il Cardano nel suo De Subtilitate del 1550 ci aveva ben avvisati: L’acqua di superficie viaggia un buon 30% più veloce di quella sul fondo…ed ecco che nel 1905 il Manetti ci mette il disegno del primo schema di lenza per pescare alla passata:
A pagina 53 in corrispondenza del capitolo “ Piombini e piombi” il Manetti ci scrive:
“I piombini usati per la pesca con la lenza a galleggiante sono i piombini da caccia,( quelli di cui si fa molto uso sono quelli che vanno dal n°3 al n°8), che però portino una profonda fessura fatta a mano o meccanicamente dove introdurre la parte inferiore della lenza, – probabilmente il budello del baco della seta, oppure un tratto di più fili di seta ritorti –
“Bisogna fare molta attenzione, aggiunge il Manetti, che i piombini più vicini all’amo siano i più piccoli, e per conseguenza i più leggeri, ed i seguenti vadano gradatamente aumentando di diametro”!
“ Quanto più le acque fluiscono tranquille tanto meno la lenza deve essere caricata di piombini”
“ Se, al contrario, il fiume ha una corrente rapida è necessario aumentarne il numero e il peso, ciò che permette a questi piombi e all’amo di raggiungere prontamente il fondo, invece di essere trascinati
lontani dalla corrente”

CURIOSITA’ PIOMBI
Nei Cataloghi dal 1931 al 1936 del grossista Sigismondi (attivo dal 1844) appaiono piombini tagliati numerati in modo inverso a come li numeriamo oggi, cioè con il n°1 più piccolo e via via a salire
Non so spiegarmi bene il fatto, anche perchè nel catalogo 1939-1940 del grossista concorrente SPEM di Milano ( Attivo dal 1750 tratta pesca almeno dal 1767 )la numerazione dei pallini è presentata con la scalatura odierna, cioè il n° 1 il più grande e via via a discendere. Curiosità “irrisolta”…

LA GIRELLA
Questa volta ( dal Manuale del Cetti di Como 1862)
Anche la girella chiamata anticamente “ macchinetta” e poi anche “smeriglione” ha avuto un battesimo. In Italia è stata usata per le prime volte per la pesca alla trota con la Dirlindana nei laghi del Nord , importata da usanza anglosassone.
I pochi pescatori ( di mestiere) dei laghi del Nord Italia che la conoscevano e usavano, ne hanno tenuto gelosamente segreto l’uso almeno fino alla prima metà dell’800.
In Francia con il nome di Emerillons, la girella appare in un primo catalogo di vendita per corrispondenza nel Maggio del 1893.

L’ANCORETTA PER LE LENZE DA LUCCI
Una delle cose che mi ha più sorpreso sul manuale del 1905 è la soluzione dell’ancoretta, non come oggetto in se, visto che appare già in disegni del 1700 e sicuramente era usata ancora da molto tempo prima, ma dalla motivazione che ci ho trovato scritto, al capitolo : Lenze per Lucci:
“Come amo si dovrà usare un grappino, od ancoretta a tre patte, il quale impedirà al Luccio di chiudere la bocca , e di segare con i denti la legatura che unisce l’amo al setale!”
In questo caso la scelta delle TRE PUNTE non è tanto rivolta ad una maggiore possibilità di ferrare il pesce, ma ad impedire che il medesimo riesca a chiudere la bocca e tranciare la lenza.
Immagino viste le dimensioni della bocca del Luccio che ne usassero di belle grandi…

AMI
Su di loro ho già scritto un articolo su MF ed ero in procinto di mettervi la II parte, poi mi sono “perso” fra la mole enorme di materiale raccolto, ed ho privilegiato altri articoli e altre storie, ma di loro, prima di dedicarvi il secondo articolo, vi voglio fare presente un punto:
Nel manuale del Manetti ( 1905) ne sono elencati ben 24 !
Dal numero 1 al numero 24 già a decrescere di dimensioni via via che il numero sale, proprio come adesso.
La differenza come potete apprezzare dal disegno è che venivano usate anche le numerazioni dispari, cosa che si è protratta almeno fino agli anni 60, perchè ricordo personalmente di averne usati nel 1968 del 17 e del 19 per pescare Sarcoli ( Vaironi) sul torrente San. Godenzo.
Usanza numerica che si è molto affievolita negli anni.

POSIZIONE IN PESCA DEL GALLEGGIANTE
Che dire…sul galleggiante come immaginerete l’articolo su questo oggetto ( che sto mettendo a punto) è molto corposo … posso già scrivervi che sempre nel famoso manuale del 1905 si inizia a considerare corretta la sua posizione di pesca in verticale, con taratura precisa, ed è la prima volta che se ne vede pure la raffigurazione, prima non era sempre così, anzi, ed avevano i loro buoni motivi, ne parleremo…
Ci scrive il Manetti: “ Non è affatto indifferente che un galleggiante tenga una posizione qualsiasi nell’acqua perchè compia il suo incarico di avvisatore.
Noi stimiamo che sia indispensabile che nell’acqua rimanga in posizione verticale.
Perchè resti verticale occorre che il piombo di cui è munito sia abbastanza pesante per obbligarlo a rimanere in quella posizione , ma non troppo perchè non abbia a sommergersi.
Il galleggiante deve emergere di 1 massimo 2 cm per cui se necessita più piombo si deve usare una penna più lunga.”

I NODI
Quello che mi ha sempre appassionato mentre ricercavo, è stata la storia dei “nodi di accoppiamento” ( per quelli sull’amo li vedremo quando farò l’articolo della loro seconda parte ).
Quando sono apparsi e quali sono stati i primi usati?
Ovviamente mi riferisco a quelli per la pesca con la canna, perchè sulla storia dei nodi marinari sono state scritte intere enciclopedie, su cui non mi addentro.

UN APPELLO
– Una volta, anni fa…sulla rivista Pesca In ( penso anni ‘90) uscì una lista con i nomi dei nodi( probabilmente principalmente I marinari) e loro relativi inventori, e forse anche gli anni di riferimento, non ricordo bene perchè purtroppo non ritrovo più quella rivista, se qualcuno se ne ricorda e l’ha disponibile è gradito riferimento. Grazie
Ma vediamo cosa ho ritrovato io:
Il primo nodo di giunzione fra lenza e setale di terminale, appare descritto in Italia nel Manuale del 1843 ( purtroppo manca la tavola del disegno di riferimento) ma è poco male perchè il medesimo appare disegnato nel Manuale del Cetti di pochi anni dopo: 1862, in entrambi i cataloghi il nodo è chiamato:

NODO DA LENZA è il classico accoppiamento doppio, di cui ho ritrovato un primo disegno in un testo francese del 1816 :
“ Pisciceptologie”( Ou l’Art della Pechè a la Ligne) di Jean Cussac ( vi metto anche quella foto )
Nel manuale del Cetti del 1862 appare anche un’altro nodo di giunzione chiamato:

NODO DELLA RETE ( Vedi foto)
Questi 2 nodi rimangono i principali finchè nel 1905 il Manetti amplia la gamma e ci riporta ben 5 soluzioni:
1- il “Nodo da Lenza” cambia nome e diviene “ Nodo d’Avvicinamento”
2- “ Nodo doppio o Nodo Inglese” vi metto la foto che è conosciutissimo.

LA DOPPIA ASOLA
3- “ Nodo di Accoppiamento” è sotto questo nome che ritroviamo quella che noi oggi comunemente chiamiamo “doppia asola”, questo tipo di giunzione nasce per risolvere un problema di accoppiamento fra due materiali diversi, la lenza: all’epoca di corda vegetale, es Lino, Canapa, addirittura anche fibre dell’Agave Americana, oppure treccia di seta etc. e il famoso terminale fatto col budello del bruco del Bombice, soluzione probabilmente nata durante una delle morie per epidemia dei bruchi della seta, forse nei primi del 1800, un modo “creativo” per riutilizzare un prodotto perso, che ha finito coni successivi perfezionamenti di trafilatura per segnare una lunga epoca dal 1800 fino al nailon dei primi anni del dopoguerra, praticamente quasi un secolo e mezzo!
L’ autore della soluzione come spesso accade rimane sconosciuto ( almeno io non ne ho ritrovato tracce)
E’ per unire queste due diverse tipologie di materiale che nasce l’idea della “doppia asola”, soluzione che all’epoca visti i materiali e le dimensioni dei “fili”, aveva anche un’altro vantaggio, se necessario, si poteva facilmente disfare per sostituire il terminale.
4 – “ Il Nodo del Pescatore” presentato dal Manetti in due versioni, una la classica che si rifà al “Nodo di Avvicinamento” aumentando il numero degli intrecci.
4- Nodo del Pescatore Bis, questa soluzione è un’altro grosso contributo tecnico per la tenuta di un terminale, come potete vedere dalla foto, una volta serrato il nodo sulla lenza va a battuta sulla cappia, in pratica diventa un fermo che non subisce su di se la tensione del carico in modo diretto, si potrebbe dire che siamo davanti ad un primo “ no- nodo”.
Anche se nel catalogo la descrizione inverte le parti, cioè il nodino è sulla lenza madre, la cappia è sul setale, vale a dire il budello del baco da seta, il principio è comunque svelato, quello che non vi svelo sono gli agonisti che lo usano tutt’oggi.
5- “Nodo del Tessitore” A proposito di agonisti, questo nodo è uno dei loro preferiti, quando devono montare spezzoni o lenze già pronte, su di una lenza madre usano questo “falso nodo” che con uno “strappetto” su baffo libero si scioglie, cosa che lo fa risultare veramente molto pratico. (vedi foto del disegno)

LA TATTICA
il SANTINI del 1936 e il Manuale del 1843
27- Marzo 2022

Sono in Sieve quando sulla sponda incontro un vecchio contadino pescatore…

“Mi chiamo Santini”, mi dice … sono del 1936:

“Una volta con due amici si andava a pescare spesso dove rimette il Comano, si pescavano i barbi coi dormienti, un giorno in sponda opposta c’erano 4 fiorentini che non prendevano nulla…noi si armò le canne con calma, si innescò i dormienti e poi – all’ora giusta – si iniziò a prendere un barbo per uno di continuo…dall’altra sponda iniziarono a bestemmiare, e ci vociarono: che gli mettete un’orologio d’oro all’amo?”
– Quale era l’ora giusta Santini?
– “Eh l’ora giusta l’era quando aprivano il bottaccio del mulino che era a monte sul Comano che rimetteva con la corrente lungo la nostra sponda!”

Fu un ricordo istruttivo, anche se purtroppo i bottacci o gore dei mulini ora non scaricano più…

Ma il Santini le I sui amici la sapevano oggettivamente lunga e giusta, sia per la riflessione logica, sia per quello che si ritrova scritto nel manuale del pescatore del 1843 al paragrafo: indicazioni dove e quando pescare:

“L’aprirsi delle cateratte delle chiusure dei Mulini conduce sempre per la corrente dei fiumi gran copia di pesce, che si porta in cerca del cibo, ch’è condotto colla corrente medesima dell’acqua; ed il pescare coll’amo in questi dati luoghi suole avere come ordinario ottima riuscita.”

Buona Giornata
C’è n’è sempre bisogno…
A.Z.

 

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