PASSATA E “BIG FISH”

La pesca alla passata nei fiumi appenninici è cambiata radicalmente nel corso degli ultimi anni, l’immissione del barbo europeo (Barbus barbus Linnaeus) che si è perfettamente adattato trovando un ambiente ed un clima ideale, obbliga il pescatore ad un drastico cambio di attrezzature, questi pesci raggiungono dimensioni considerevoli e una volta presi all’amo sprigionano una potente difesa, per avere la meglio su questi pesci non basta utilizzare fili di grosso diametro ma bisogna munirsi di canne da pesca adatte allo scopo.

Prima dell’avvento del barbo europeo la canna ideale per pescare nei fiumi appenninici che sono per lo più a regime torrentizio era la “barbarina”, una canna fissa montata con piccoli passanti e dotata di un piccolo recupero, questo per mantenere il più possibile la leggerezza dell’attrezzo oltre al fatto che queste canne progettate per la pesca dei piccoli pesci hanno in dote una flessibilità maggiore rispetto alle bolognesi e permettono l’utilizzo di finali di dimensioni ridotte, questo tipo di canna è ancora adesso la più utilizzata per la pesca del cavedano, va molto bene anche con i barbi fino al kg di peso, il problema sorge quando ad abboccare è un barbo di dimensioni maggiori, in questi casi la canna morbida impedisce al pescatore di “comandare” la direzione di fuga del pesce, per cui anche se dotata di un nylon robusto permette al pesce di partire con slancio verso i numerosi anfratti che questi ambienti gli offrono.

Per affrontare questi pesci bisogna assolutamente dotarsi di una buona bolognese di media potenza, io personalmente quando vado a pesca in questi fiumi porto sempre un paio di canne, una ad azione morbida, ed una ad azione media nella misura di sei mt. in questo modo non solo posso decidere in base al posto di pesca se tentare cavedani o barbi ma mi metto anche al riparo da eventuali rotture accidentali che impedirebbero il prosieguo della pescata.

Solitamente i primi pesci ad entrare in pastura sono i cavedani per cui si parte col filo sottile e la canna ad azione più morbida per poi passare alla canna più potente quando entrano in pastura i barbi.

Quando arrivano questi pesci non lasciano spazio ad altri, avvalendosi della loro mole allontanano i cavedani e se non si è muniti di un’adeguata attrezzatura si rischia di non salparne neanche uno, ricordo di avere pescato in una delle competizioni che si svolgono periodicamente nel Bidente, vicino ad un pescatore che capitato per sorteggio in una buona posizione popolata da barbi, per tre ore non a fatto altro che spezzare la lenza ad ogni abboccata, purtroppo questo pescatore non aveva con se un filo superiore allo 0,14 ed ha finito la gara all’ultima posizione.

Naturalmente la scelta del filo e della canna è condizionata dalla specie che si va ad insidiare, e al posto nel quale si pesca, se è ricco di tronchi sommersi o rocce è inutile pescare “sottile”.

Un’altro fattore che condiziona, e non poco, la scelta del filo, è, la temperatura dell’acqua, come andrò a raccontare può capitare anche, che in condizioni di acqua fredda, si riescano a catturare pesci grossi anche pescando con fili sottili.

La canna che ho utilizzato per questa pescata è la Fiume xxt180 della Colmic, questa é una canna medio morbida ad azione di punta, permette di pescare con finali sottili ma all’occorrenza è capace di mostrare i “muscoli”.

Il fiume é il bidente nella zona di Galeata (FC), accompagnato da un amico decido di tentare i cavedani in uno “striscio” lungo trenta metri e largo circa dieci, con una profondità di circa tre metri, prima di metterci in pesca osservando la sponda opposta, notiamo qualche pesce che nuota nell’acqua bassa, sono cavedani di taglia media, per capire se sono attivi lancio una fiondata di bigattini proprio sopra la loro testa, ma al contatto delle larve sull’acqua, i cavedani spaventati scappano via, percepisco questa reazione come molto negativa, infatti per quasi un’ora faccio “passare” la mia lenza lungo lo “striscio” pasturando con piccole quantità di esche per stimolare l’attività dei pesci, ma non c’è niente da fare, proprio non ne vogliono sapere di abboccare, uno dei segreti di questa pesca è quello di capire quando spostarsi, se in uno spot la pesca è difficile ed il pesce è svogliato conviene cambiare posto.

Mi muovo verso valle percorrendo circa cinquecento metri lungo il fiume dove trovo un bel posto per calare la lenza, una correntina si infrange contro una roccia dove forma una buca e si divide in due flussi uno in uscita ed uno a “morire” creando una sorta di lanca, decido di pescare proprio in questo punto, dove l’acqua è più ferma, sondo il fondo per trovare la posizione più profonda ed una volta trovata calo la lenza composta da un galleggiante della portata di 0,20 gr una lenza madre dello 0,12 ed un finale dello 0,08 al quale ho legato un amo del 25 innescato con un bigattino, una classica lenza da cavedani, accompagno la calata con una manciatina di bigattini e aspetto l’abboccata, nell’acqua quasi ferma sono solito pescare senza appoggiare il finale sul fondo ma facendo strisciare su di esso solo l’esca, questo sistema mi permette di tarare il galleggiante al limite della portata in maniera tale che il minimo contatto mi venga segnalato.

Mentre aspetto l’abboccata del pesce osservo la sponda del fiume, e, a pochi metri da me intravvedo nell’acqua bassa e chiarissima una carpa, che non avvertendo la mia presenza nuota spensierata, seguo con lo sguardo il suo lento procedere cercando di valutarne la taglia quando con la coda dell’occhio scorgo l’antenna del mio segnalatore che affonda, ferro, la partenza del pesce è prepotente con numerose puntate contro il fondo non lasciando dubbi sulla sua specie, un barbo, di buone dimensioni, nonostante la lenza sia esile riesco a “guidarlo” in un punto privo di ostacoli dove riesco a stancarlo prima di guadinarlo, un bell’esemplare di poco più di un chilo al quale scatto un paio di foto prima di restituirgli la libertà, felice per la cattura mi rimetto in pesca gettando due buone manciate di bigattini nel punto dove ho agganciato il pesce poco prima.

L’intento era di catturare cavedani, ma anche i barbi vanno più che bene, intanto l’amico che mi accompagna, è posizionato sulla sponda opposta, e vede anche lui una grossa carpa che nuota vicino ad un tronco semi sommerso, essendo dotato di un’attrezzatura più robusta decide di tentarla, pasturando e pescando a ridosso dell’ostacolo.

La decisione di aver abbondato con la pasturazione, preso dall’entusiasmo per la cattura precedente, sembra non dare i frutti sperati, quando un leggero sussulto dell’antenna fa scattare una pronta ferrata, questa volta il pesce è veramente grosso, la canna si flette in modo inconsueto ma a differenza del pesce catturato in precedenza, questo, dopo un momento nel quale rimane piantato sul fondo, parte piano dirigendosi verso il centro della buca, questo per me è il momento più importante della giornata, tutti i miei sensi sono impegnati in funzione di quella che sembra una cattura impossibile.

In un decimo di secondo cerco di stabilire che tipo di pesce ho in canna e quanto possa pesare, ed immagino una carpa di almeno due chili, intanto il pesce raggiunge il centro della buca e si ferma, l’eccitazione mi fa scattare come una molla, svegliandomi dal torpore che il freddo aveva causato e con un balzo salto su di un lastrone di pietra che affiora sulla superficie dell’acqua, dal quale ho il pieno controllo di tutta la buca, il pesce intanto sembra tornare sui suoi passi, tutto quello che riesco a fare, è mantenere costante la trazione al punto massimo di rottura del filo, intanto l’amico accortosi della cattura smette di pescare e si avvicina per vedere meglio, rimango concentrato, in questi frangenti il fisico e la mente sono in tensione, l’euforia per aver agganciato un pesce enorme è controllata dalla razionalità che serve per la cattura, il tutto con la consapevolezza che in un attimo può svanire, il pesce intanto gira in cerchio un paio di volte nel punto dove l’ho agganciato, probabilmente anche lui intorpidito dal freddo, misura i movimenti, cercando di amministrare le energie, del resto un amo del 25 misura un’apertura tra punta e gambo di un millimetro e non gli fa neanche il solletico, l’unico disturbo è questa trazione costante che gli crea “instabilità” nel nuotare.

Intanto il tempo trascorre, e la canna è ancora tutta piegata, nella mia testa si fa strada l’idea che forse ce la faccio, il problema grosso è che da quando l’ho agganciato sono passati almeno dieci minuti ed ancora non ho visto emergere il galleggiante, non lo riesco a staccare dal fondo. A questo punto sembra aver scelto dove andare per liberarsi di quella forza misteriosa che lo sbilancia e lo infastidisce, e punta sotto al lastrone sul quale mi sono posizionato, non posso fare altro che recuperare fin quasi a toccare il galleggiante con la punta della canna, immergendo la stessa in acqua davanti a me, in questo modo rimango poco filo sul quale sfruttare l’elasticità ma tolgo un angolo pericoloso per la lenza, evitando di farla strusciare sulla lama di roccia, il pesce spinge per infilarsi sotto alla lastra ed io tengo la canna sul fondo del manico sbracciando a più non posso e sperando che il finale regga lo sforzo, fortunatamente si gira ed esce, riprende il largo in direzione centro buca ed ancora non molla un cm dal fondo, il finale regge bene, anche perché riesco a mantenere una trazione calibrata e costante, prima o poi si stancherà penso, ed infatti dopo venti minuti di lotta il pesce comincia a salire verso la superficie, appena lo vedo non credo ai miei occhi, un barbo enorme, un pesce talmente grosso che in teoria potrebbe spezzare l’esile finale a proprio piacere, chissà perché in questa circostanza non lo ha fatto, mi viene da pensare che anche lui voglia la sua foto.

Risolvo il problema di come guadinare un pesce di simili dimensioni in maniera molto semplice, facendo entrare la parte più pesante, la testa e metà corpo, lasciando fuori l’altra metà e la coda.

Galeotti Davide
Galeotti Davide

Alla bilancia risulterà 4 kg per una lunghezza di 80 cm, un pesce stupendo che mi ha regalato una forte emozione e mi ha ricordato perché amo tanto questo “sport”.

Galeotti Davide
Galeotti Davide

Il rilascio dopo qualche foto è un momento altrettanto bello, vedere la creatura che torna al suo ambiente trasmette serenità e gioia.

 

Un saluto agli amici di Match Fishing da Galeotti Davide.

galeotti.d@matchfishing.it

 

 

 

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