SUL BIDENTE NEL REGNO DEI BARBI

METTEVI NELLE MIE PINNE….
La storia di una cattura, guardata dall’altra parte della canna

Faceva molto freddo, quel giorno. Le rive del fiume erano coperte di brina. Anche l’acqua era fredda e ogni tanto, dai rami secchi degli alberi, cadeva un pò di ghiaccio nella corrente. All’alba tirava un’aria gelata e il cielo aveva un colore livido. Si sentiva nell’aria e nell’acqua che la tramontana sarebbe durata ancora a lungo. Sulla prismata vedevo alcuni topi che si accanivano su dei pezzetti di pane mezzi congelati. Erano i resti di molte pagnotte che un pescatore aveva adoperato per pasturare. Questo era accaduto pochi giorni prima. Poi, su quella prismata fredda e lugubre, non era venuto più nessuno. Ne ero certo perchè io ero sempre rimasto nei paraggi e non era venuto proprio nessuno, nemmeno l’anziano uomo della cascina che ogni tanto scendeva al fiume a mettere giù le sue tre canne con il piombo e i grossi ami.
Ora quel mondo era tutto mio. Era mio il fiume, era mio il cielo bianco di nubi, erano miei quegli alberi dai rami incostrati di ghiaccio e che a primavera sarebbero rinverditi per lasciare cadere sulla corrente bacche, germogli e insetti.
In lontananza si sentiva ogni tanto il latrato di un cane ma quel suono mi giungeva deformato e i suoni si perdevano nel grande silenzio. L’unico vero rumore era quello della corrente che si frangeva contro un pilone del vecchio ponte.
Provai a spostarmi lungo la prismata e arrivai fino alla curva, dove il fiume perdeva forza e si arrendeva nella lanca, sotto la riva in frana. La buca era verde e profonda e, in superficie, nel lento giro d’acqua galleggiavano pezzi di legno, qualche ramo mezzo marcio che presto sarebbe affondato, e alcune cose colorate che la piena avrebbe poi portato via. Feci tutto il giro della lanca e scesi anche dove la corrente riprendeva forza prima di scivolare sotto il ponte con quelle lame lucide e troppo rapide. E qui decisi di tornare indietro. Era meglio stare verso la prismata, dove la corrente era uniforme, tutta uguale, e l’acqua aveva una temperatura che poteva andare bene, soprattutto proprio sotto riva dove si vedevano le cavità buie tra tra un blocco di cemento e l’altro. La prismata era molto vecchia e coperta da una patina verdastra. Anche in pieno inverno, in quegli anfratti, era possibile trovare qualche cosa di vivo. D’estate la prismata era un posto infernale ed era molto meglio la vena centrale del fiume, dove la corrente filava via liscia su quel fondo di ghaia e sabbia. Ma d’inverno, con tutto quel freddo, il filo di corrente proprio davanti ai blocchi di cemento, era certamente il posto migliore. Provai a risalirla tutta ed era molto lunga. Arrivai fino in testa, dove avevano cominciato a costruirla anni prima, quando io ero ancora molto giovane. Ci andai lentamente, guardandomi tutto attorno, e alla fine fui certo che non c’era proprio nessuno. In genere venivano sempre e alle volte erano in tanti. D’estate erano sempre numerosi e facevano molto rumore. D’inverno ne venivano di meno ed erano molto più silenziosi, molto più attenti. Ma adesso erano alcuni giorni che non si vedevano. L’ultimo era stato quello che aveva buttato tutto quel pane di cui, i topi ora, si contendevano i resti sulla sponda.
Decisi che il posto migliore era alla metà della prismata, dove c’erano quelle grandi macchie di cespugli con rami che sfioravano l’acqua. E così tornai a valle e mi fermai proprio vicino alla macchia dei cespugli. In quel momento ci fu una debole schiarita e un sole pallido, quasi incolore, filtrò tra le nuvole gettando una tenue luce che si riflettè fin sul fondo del fiume.
Ma la luce durò solo pochi minuti. Poi il sole scomparve e tutto tornò grigio. Ora l’acqua era diventata più fredda. Vidi scendere sulla corrente un pesciolino che sembrava ferito. Si muoveva a fatica e lo seguii con lo sguardo. Era molto piccolo e in certi momenti si dibatteva. Mi mossi lentamente, spostandomi lungo la corrente. Lo seguii ancora e non riuscii a capire perchè si muoveva in quel modo strano. Il pesciolino provò ad immergersi e allora mi mossi di scatto. In un attimo fui sopra di lui. Non riuscii a sottrarsi all’attacco e quando spalancai la bocca potei inghottirlo al primo colpo. Fu in qull’istante che tutto il mondo esplose intorno a me. Sentii un grande strappo e qualcosa di appuntito mi penetrò in due punti del palato. Mi gettai sul fondo ma non riuscii a raggiungerlo. Allora tornai un pò in sù e mi gettai verso gli anfratti della prismata. Una forza invincibile mi fece deviare sulla destra. Il dolore in bocca era molto forte. Qualcosa mi portava verso il cielo e il fondo si allontanava. Ma verso il cielo io non dovevo andare perchè da quella parte c’era la morte. Io dovevo assolutamente restare nell’acqua. Puntai ancora verso il fondo e intanto scrutavo verso la superficie per capire cosa stava accadendo. E fu allora che lo vidi. Era un uomo che prima, quando avevo risalito la prismata, non c’era. Se ne stava quasi interamente nascosto accanto al grande cespuglio. Non lo avevo visto. Era lui il mio nemico, non c’era nessuna altra forza su quella riva, all’infuori della sua, che in quel momento potesse provocarmi tanto dolore, tanta fatica, tanta ansia e paura di morire. Ma forse non era proprio lui che mi tratteneva, era quel lungo ramo giallo che teneva tra le mani e che si curvava proiettando la sua ombra su di me. Poi non potei più muovermi. Malgrado i miei sforzi finii con la bocca fuori dall’acqua e in pochi istanti perdetti ogni forza, ogni volontà. Mi trovai avvolto in una rete verde che era appesa ad un lungo bastone e fui gettato così sulla riva, in mezzo alle foglie secche. E’ li che sono morto.
A.

Questa è la storia della cattura di un grosso pesce. Ho voluto mettermi dall’altra parte. Ho provato a farla raccontare al pesce per quanto sia difficile immaginare come un pesce vede il suo mondo. Volete sapere che pesce era? Ma che importanza ha? Diciamo che era un cavedano di due chili che in quella prismata era nato e cresciuto. Ma tutto questo non ha importanza. A giorni arriverà la miglior stagione per la pesca sportiva. I grossi e vecchi cavedani si ritroveranno spesso a combattere con ami conficcati in bocca ma avranno la fortuna di soffrire soltanto un attimo, il tempo strettamente necesario per trasmetterci il brivido e il divertimento insieme. Ma l’epilogo per loro sarà diverso da quello raccontato nella storia. I grossi cavedani non termineranno su foglie secche sulla riva del fiume ma ritorneranno a nuotare da una prismata ad un’altra, da una profonda buca alla corrente al centro del fiume, a rincorrere i luoghi della loro gioventù. E così ritorneranno ancora alle lenze dei pescatori e gli ami, conficcati nella loro bocca, pungeranno di meno perchè il sapore della libertà cancellerà ogni sofferenza.

RE BARBO

PIERO DELLA MOTTA

LAMBERTO RAMILLI

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *