AMARCORD: I GALLEGGIANTI DI UNA VOLTA

Nel riordinare le mie cose di pesca e nel preparare nuove lenze ho riaperto la scatola dei ricordi …ed ecco ricomparire dal passato remoto (aime’😫) i mitici galleggianti del primo dopoguerra e quindi della mia infanzia.

Le penne d’istrice e le penne di pavone!

Amarcord di Roberto Generali

In quegli anni (1950 in poi ) i pescatori bolognesi oltre ad aver inventato la tecnica bolognese crearono questi due gioielli di galleggianti ,tanto efficaci quanto semplici e soprattutto realizzati con materiali forniti dalla natura e quindi oggi diremmo “ ecologici “.

La penna d’istrice, raccolta nei boschi da quelle che l’istrice lanciava per difendersi, per la sua forma e l’assoluta impermeabilità era adattissima per acque lente o ferme e con bassa profondità .

Avendo però poca portanza non poteva essere usata in acque veloci e profonde, infatti le più minuscole portavano si e no un pallino di piombo dell’8 ; (a quei tempi erano i più piccoli e di difficile reperimento) mentre le più grandi raramente potevano portare 2 grammi di zavorra .

Ricordo che io bambino ammiravo i grandi pescatori (grandi per età 😊ma anche di bravura, Vigarani, Vandelli per citarne alcuni) che nei grandi fiumi a volte ne legavano 2 o più insieme in modo da poter pescare con più peso.

Per tanti anni nei torrenti della mia regione io ho pescato con la penna d’istrice, eccezionale per i cavedani rendeva bene anche nelle basse correntine a catturare stregge (lasche), vaironi e barbetti.

Quando però dovevi cercare i grossi barbi in correnti più sostenute erano dolori.

Come fare? Ci pensò mio zio CORRADO che a casa dei nonni contadini vedendo un pavone perdere una delle sue lunghe e meravigliose penne ebbe una grande idea ….usarla come galleggiante.

Con una candela brucio’ le piume ripulendo l’asta principale per poi tagliarla a varie lunghezze ottenendo così cilindretti di portata differente.

Però in corrispondenza dei tagli l’acqua entrava e per ovviare a questo grave inconveniente le estremità venivano sigillate con una legatura stretta su cui poi una buona colla faceva il resto.

Da una parte un po’ di vernice rossa dava visibilità alla testa del galleggiante che veniva fissato al corpo della lenza con due anellini di guaina di cavi elettrici.

Il vantaggio fu notevole, innanzi tutto la portata a parità di volume come minimo si raddoppiava e si potevano fare galleggianti di 20, 30, 40 cm di lunghezza che potevano portare anche 5/6 gr di piombo .

Se poi ne “nastravi” 2 o 3 insieme potevi realizzare una montatura da 15, 20 gr. tale da poter pescare anche in Po .

Da quella idea un artigiano bolognese che aveva il negozio di caccia e pesca in via Pelagio Palagi di nome Musiani incominciò a realizzarli per venderli approvvigionandosi delle penne dei pavoni del nonno Adolfo .

Tutto questo nel 1950 ed io avevo 6 anni ma ricordo tutto come fosse ieri.

Da quei giorni la penna di pavone fu lavorata sempre meglio a livello industriale e impermeabilizzata con vernici sempre più accattivanti nell’aspetto fino a divenire il materiale “non plus ultra “nei galleggianti all’inglese che portando a numerose vittorie a livello mondiale .

I galleggianti nelle foto hanno alcuni (istrice) otre 60 anni di onorato servizio mentre le penne di pavone realizzate dal nostro compianto ex presidente dei RossoBlu Gaetano Rambaldi (per noi nonno Tino 😢) sono relativamente più giovani (cinquantina di anni ).

Ancora oggi quando pesco a bolognese nel Santerno, Bidente, Lamone, Savio, Senio esse sono sempre con me ad avvertirmi con una loro affondata repentina o con un leggero cambio di direzione sulla superficie dell’acqua, il magico momento del contatto fra me ed il pesce (l’essenza della pesca😌) e questo spero per tanti tanti altri giorni ed anni ancora.

Un pensiero riguardo “AMARCORD: I GALLEGGIANTI DI UNA VOLTA

  • 17 Marzo 2020 in 17:06
    Permalink

    Un articolo che mi fa ricordare i tempi in cui da bambino usavo le piccole penne di istrice e di pavone per andare a pesca sul fiume Reno e sul fiume Setta nella zona di Sasso Marconi.
    Grazie per il remember a Roberto Generali.

    Risposta

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